Riforma Cartabia[1]. Norme sul processo del lavoro.
Nella riforma è prevista l’estensione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro e vengono introdotte modifiche alle norme che regolano il processo in caso di impugnativa di licenziamento con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro.
Premesso che sulla c.d. “riforma Cartabia” del codice di procedura civile, personalmente, come molti colleghi, esprimo un giudizio negativo[2], tuttavia, in materia di lavoro contiene alcune nuove norme utili a risolvere attuali problemi aperti. Si tratta di alcune nuove norme nessuna delle quali dovrebbe avere un impatto negativo sul sistema giuslavoristico.
Peraltro, l’aver limitato, in materia di lavoro, le innovazioni procedurali a due soli aspetti (introduzione della negoziazione assistita per la risoluzione stragiudiziale delle controversie ed unificazione dei riti per i ricorsi al Giudice del lavoro avverso i licenziamenti) indica che, anche per il legislatore, il rito del lavoro, introdotto con la riforma del 1973, funziona meglio degli altri riti previsti per le materie del diritto civile. E, salvo attendersi improbabili effetti di miracolosa riduzione dei processi dall’introduzione della negoziazione assistita, probabilmente, invece, implicitamente, contiene l’idea che per ridurre i non brevi tempi del processo del lavoro non serve intervenire sulla procedura ma occorrono, invece, interventi organizzativi; a mio parere, soprattutto l’incremento del numero di giudici e, per gli aspetti qualitativi dei giudizi, una loro particolare specializzazione finalizzata soprattutto a conoscere le più diffuse dinamiche presenti negli ambienti di lavoro dei diversi settori e per le differenti dimensioni aziendali.
Sull’efficacia dell’estensione alle controversie di lavoro della negoziazione assistita dagli avvocati delle parti in causa dovremo attendere un congruo lasso di tempo per poterne misurare gli effetti, almeno quelli quantitativi.
Per quel che riguarda l’intervento riformatore sui riti vigenti nei casi di ricorsi al Giudice del lavoro avverso i licenziamenti, le innovazioni sono certamente positive e, peraltro, fanno superare una inutile differenza di trattamento tra lavoratori con anzianità aziendale iniziata prima del 7 marzo 2015 e quelli assunti successivamente, come meglio preciserò di seguito.
Con la legge n. 92/2012, c.d. legge Fornero, era stato introdotto uno speciale rito, caratterizzato dalla celerità, in caso di ricorso al Giudice del lavoro avverso la presunta illegittimità del licenziamento (oltre all’introduzione del risarcimento economico in luogo della reintegrazione per i lavoratori dipendenti dalle imprese «sopra soglia»,[3] in alcuni casi di licenziamento illegittimo).
Il d.lgs. n. 23/2015 (uno dei decreti che costituiscono il c.d. Jobs act) applicabile ai lavoratori assunti dopo la sua entrata in vigore (7 marzo 2015) non ha esteso ai nuovi assunti le norme del c.d. rito Fornero previste per le procedure da seguire in caso di ricorso al Giudice del lavoro avverso il loro licenziamento.
Per effetto della suddetta diversificazione normativa, determinatasi con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015, in caso di una pluralità di licenziamenti contemporaneamente effettuati dalla stessa impresa, e di cui alcuni per lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 ed altri assunti successivamente, quelli più anziani, oltre ad avere, in alcuni casi, tutele diverse (in caso di declaratoria giudiziaria di illegittimità) dai loro lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015., avrebbero avuto anche una procedura molto più veloce degli altri loro colleghi.
Una differenza di trattamento, quella del rito processuale, diversamente da quella relativa alle tutele[4], fondata esclusivamente sulla data di assunzione ed, a mio parere, priva di una spiegazione logica condivisibile.
La c.d. riforma Cartabia del processo civile, in materia di processo del lavoro, a parte l’introduzione della negoziazione assistita, non innova null’altro che le norme in materia procedurale, in caso di impugnativa di licenziamento.
Di seguito, seppur in forma sintetica, si indicano le novità della riforma Cartabia in materia di lavoro.
- La negoziazione assistita (art. 9, d.lgs. 149/2022).
Preliminarmente è opportuno precisare che, per la risoluzione delle controversie di lavoro, da molti anni, sono vigenti norme che consentono di ricercare celermente l’accordo tra le parti in diverse sedi in cui il lavoratore interessato viene assistito da soggetti dotati di competenze idonee. Di seguito si indicano le tre principali opzioni a disposizione delle parti (l’eventuale accordo raggiunto in queste sedi non è impugnabile dalle parti):
- sindacato;
- ex Ufficio provinciale del lavoro ora sede locale dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (I.N.L.);
- conciliazione monocratica presso gli uffici dell’I.N.L.
Alle suddette sedi cui rivolgersi, in alternativa alla presentazione del ricorso al Giudice del lavoro, per risolvere in via stragiudiziale le controversie di lavoro, adesso si aggiunge la negoziazione assistita già sperimentata per altre materie del contenzioso civile.
Le parti che scelgono di ricorrere alla negoziazione assistita devono sottoscrivere una apposita convenzione prevedendo:
– il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura di negoziazione, in ogni caso non inferiore a un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti;
– l’oggetto della controversia.
E’ previsto che gli incontri si possano svolgere “…con modalita’ telematiche…” ma non potranno realizzarsi “…con collegamenti audiovisivi da remoto l’acquisizione delle dichiarazioni del terzo…”
E’ necessario che “Ciascuna parte” sia “assistita da almeno un avvocato e può essere anche assistita da un consulente del lavoro.”
All’accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita si applica il 4° comma dell’art. 2113 del Codice civile, cioè l’accordo non è impugnabile come già si verifica per le conciliazioni realizzate nelle c.d. sedi protette sopra indicate (sindacato, Inl, conciliazione monocratica presso l’Inl).
Così come per le altre sedi per la risoluzione stragiudiziale delle controversie, anche la negoziazione assistita non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, cioè non è necessario tentare prima del ricorso al giudice la conciliazione con la negoziazione assistita.
- Abolizione del rito Fornero (art. 37, d.lgs. n. 149/2022)
La c.d. “riforma Cartabia”, come già accennato, abolisce le norme sul procedimento per le cause in materia di licenziamento per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, il cd. rito Fornero.
Questo procedimento prevede che il primo grado di giudizio sia diviso in due fasi, la prima a c.d. cognizione sommaria, allo scopo di giungere ad una prima decisione in tempi brevi, e la seconda a cognizione piena.
Con le nuove norme, a partire dal 28 febbraio 2023, le cause relative ai licenziamenti, anche per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 dalle imprese “sopra soglia”, si svolgeranno secondo le nuove norme contenute agli articoli 441 bis, 441 ter e 441 quater c.p.c., operanti per i principali casi di impugnazione dei licenziamenti.
- Controversie in materia di licenziamento (comma 32, art. 3, d.lgs. n. 149/2022)
Per i licenziamenti con domanda di reintegrazione si applicherà il nuovo art. 441-bis c.p.c. In esso è previsto che la trattazione e decisione di queste controversie abbia carattere prioritario rispetto alle altre pendenti presso lo stesso giudice, e ciò anche quando sono in contestazione questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. Peraltro, “Tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso il giudice può’ ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni”.
Inoltre è previsto che anche “I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto
delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione”
- Licenziamento del socio della cooperativa (comma 32, art. 3, d.lgs. n. 149/2022)
Per le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative si applicherà il nuovo art. 441 ter c.p.c.. Anche queste controversie vengono adesso assoggettate al rito del lavoro e, in tali casi, il giudice potrà decidere anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte.
Peraltro, la stessa riforma prevede che “il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo.”
- Licenziamento discriminatorio (comma 32, art. 3, d.lgs. n. 149/2022)
Con l’introduzione del nuovo art. 441 quater c.p.c., l’azione legale avverso il licenziamento discriminatorio, ove non sia proposta con il rito del lavoro, può essere introdotte, se ne ricorrono i presupposti di legge, con i relativi riti speciali previsti:
- all’articolo 38 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. n. 198/2006);
- all’art. 28 d.lgs. n. 150/2011.
Alla fine dello stesso comma 32, art. 3, d.lgs. 149/2022, viene, inoltre, precisato che “La proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.”
30 gennaio 2023
Avv. Giorgio Tessitore
Esperto in diritto del lavoro e previdenziale
Convenzionato con il patronato Inas Cisl
[1] Legge 26 novembre 2021, n. 206 e decreto legislativo 10 ottobre 2022 , n. 149.
[2] Tuttavia non è questo l’ambito per esprimerne i motivi: sarebbe molto lungo e porterebbe ad affrontare questioni che esulano dalle materie del lavoro e della previdenza. Per chi volesse saperne di più, al seguente indirizzo https://www.avvocatotessitore.it/PDF/SCHEMA_OCF1.pdf si trova lo schema predisposto dall’Organismo Congressuale Forense (OCF) contenente le innovazioni della riforma e le proposte di modifica avanzate dall’avvocatura per contrastarne gli effetti negativi.
[3] Sono considerate “sopra soglia” le unità produttive con più di 15 dipendenti, come media degli ultimi sei mesi; i datori di lavoro che nel complesso aziendale, anche se suddiviso in più unità produttive di dimensioni inferiori ai 16 dipendenti, superano i 60 addetti ed imprese del settore agricoltura con più di 5 dipendenti.
[4] Le differenti tutele in caso di illegittimità dei licenziamenti, tra vecchi e nuovi assunti, trovano ragione economica e giuridica nella volontà del legislatore di dare gradualmente maggiori libertà gestionali all’imprenditore, in armonia con l’art. 41 della Costituzione, e ciò anche al presunto fine di favorire la maggiore produttività del lavoro e realizzare, per questa via, una maggiore competitività del sistema delle imprese italiane nel confronto con i competitors stranieri (obiettivi di fondo che, a mio giudizio, hanno ispirato prima la c.d. riforma Biagi e poi il complesso normativo conosciuto come Jobs act).