Alcuni giorni fa, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole al riconoscimento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute dal lavoratore che assistevo e rappresentavo in giudizio, ho pubblicato, sulla mia pagina Facebook, il seguente post:
“Vincere una causa e far ottenere ad un lavoratore il diritto negatogli da parte datoriale è sempre un piacere ma aver ottenuto dal Giudice del lavoro del Tribunale di Trapani la condanna di una Pubblica Amministrazione al pagamento delle ferie non godute, negli ultimi anni prima della fine del rapporto, da un lavoratore che in forza di un impiego a tempo parziale (50% delle ore contrattuali) da titolare di posizione organizzativa, sostituiva inizialmente un dipendente full time, e poi anche un secondo dipendente anch’esso full time, è un vero atto di giustizia.
Da un punto di vista strettamente giuridico la vicenda era in effetti complessa in quanto la normativa nazionale (art. 5, comma 8, D.L. n. 95/2012, convertito in legge n. 132/2012), in materia di pubblico impiego, contiene un generale divieto di monetizzazione, in base al quale “le ferie, i riposi e i permessi spettanti al personale … sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi…” ma la suddetta rigida norma contrasta con quanto previsto in materia dalla normativa europea e con l’interpretazione che di tale normativa comunitaria hanno dato prima i Giudici della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e, di conseguenza, la nostra Corte di Cassazione. Proprio per la l’articolazione della normativa europea e nazionale e per l’assenza nell’albo dell’Ente Pubblico interessato di un avvocato giuslavorista, l’Ente Locale resistente si è fatto assistere da un validissimo collega che insegna diritto del lavoro all’Università, il quale, con le sue argomentazioni giuridiche di segno opposto, ha reso ancor più complessa la difesa dei diritti del lavoratore.
Prossimamente pubblicherò, nel mio sito internet, un articolo sui doveri del datore di lavoro in materia di ferie e sulla monetizzazione delle ferie non godute ricostruendo le interpretazioni di alcuni giudici del merito, della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’unione Europea.”
Come da impegno assunto in quel post, pubblico l’articolo sul diritto alle ferie e sul riconoscimento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute.
Le norme di legge che prevedono e regolano la materia del godimento delle ferie sono contenute all’ultimo comma dell’art. 36 della Costituzione Italiana, nella Direttiva 2003/88/CE e nel d.lgs. n. 66/2003 che della citata direttiva costituisce attuazione.
All’art. 36 della Costituzione, ultimo comma, è previsto che “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
La direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che si applica “a tutti i settori di attività, privati e pubblici”, all’art. 7, prevede che:
- Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.
- Il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro.
Il d.lgs. n. 66/2003, all’art. 10, prevede che
“1. …il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.
- Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro.
Per il pubblico impiego è tutt’ora vigente una norma speciale contenuta all’art. 5, comma 8, D.L. n. 95/2012, convertito in legge n. 132/2012 nella quale si prevede che:
“8. Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione … sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. …
Il presente comma non si applica al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie.”
Ad eccezione del personale della scuola con rapporto a termine, al comma 8 del D.L. n. 95/2012, convertito in legge n. 132/2012, quindi, è previsto il principio del divieto di monetizzazione delle ferie ai pubblici dipendenti, anche in caso di interruzione improvvisa ed imprevista del rapporto di lavoro (risoluzione, dimissioni, ecc.).
La stessa direttiva 2003/88/CE fornisce una definizione dell’orario di lavoro come “…qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;”
Quindi, anche in base alle norme europee, l’orario di lavoro è il tempo in cui il lavoratore dipendente è a disposizione del proprio datore di lavoro e ciò può avvenire entro i limiti previsti dalle norme vigenti. A parte le limitazioni generali previste dalla legislazione, la regolamentazione del potere datoriale di determinazione dell’orario di lavoro è sempre stabilita dai Contratti Collettivi Nazionali, salvo ulteriori specificazioni che possono essere previste nei Contratti Collettivi Aziendali ed in quelli individuali. Ma entro le regole generali previste dalla legge e dai contratti, è il datore di lavoro che dispone l’articolazione dell’orario di lavoro nell’ambito settimanale, mensile ed annuale, ivi compresa la scelta dei periodi di sospensione dell’attività lavorativa individuale e/o collettiva (per esempio per C.I.G.). Coerentemente con il principio di libertà d’impresa di cui all’art. 41 della Costituzione, e con la stessa definizione di orario di lavoro, tutti i Contratti Collettivi assegnano al datore di lavoro il potere di scegliere l’epoca delle ferie e, talvolta, prevedono un periodo dell’anno, in coerenza con le caratteristiche dei mercati di riferimento del settore, in cui “di regola” devono essere previste le ferie stesse.
Inoltre, è universalmente riconosciuto che il diritto alle ferie è strumentale al recupero psicofisico dei lavoratori dipendenti, in questo senso è ormai consolidata la giurisprudenza di merito e quella di legittimità. E’ proprio in funzione della tutela della salute dei lavoratori che, all’art. 36 della Costituzione, è previsto il divieto per i lavoratori di rinunciare alle ferie e le stesse norme contenute nella direttiva 2003/88/CE e nel d.lgs. n. 66/2003 vanno nella direzione di obbligare il datore di lavoro a far godere i lavoratori dipendenti dell’effettivo riposo ma, proprio per queste ragioni sarebbe disastroso se il divieto di monetizzazione delle ferie, nei casi di inadempimento del datore di lavoro dell’obbligo di stabilire l’epoca delle ferie retribuite per i propri dipendenti, e dare le disposizioni conseguenti, si traducesse in una riduzione del costo del lavoro per il datore di lavoro e nella negazione del diritto al riposo per i dipendenti dello stesso datore di lavoro inadempiente. Ciò avverrebbe se il datore di lavoro non concedesse il periodo di ferie erogando la relativa retribuzione e non avesse l’obbligo di corrispondere, alla fine del rapporto di lavoro, l’indennità sostitutiva delle ferie non godute. Peraltro, estremizzando il concetto, per questa via il datore di lavoro otterrebbe anche un incremento illegittimo dell’orario di lavoro annuo dei propri dipendenti, e se ciò avvenisse in un’impresa industriale, quest’ultima otterrebbe anche una maggiore utilizzazione degli impianti pari al periodo di ferie non goduto dai lavoratori con evidenti effetti di bilancio sull’ammortamento.
Prima dell’entrata in vigore delle norme comunitarie in materia e dello stesso decreto legislativo n. 66/2003 era ritenuto pacifico, anche dalla giurisprudenza, che i periodi di ferie non goduti dai lavoratori venissero retribuiti appositamente con l’indennità sostitutiva delle ferie ed anche molti contratti collettivi lo prevedevano espressamente.
Purtroppo, l’abuso della monetizzazione delle ferie non godute da parte di molti datori di lavoro, privati e pubblici, per lungo tempo, ha minato l’effettività del recupero psico-fisico dei lavoratori mediante l’effettiva fruizione delle ferie, specialmente per professionalità medio-alte.
La norma europea contenuta nella direttiva 2003/88/CE ed anche quella italiana di recepimento della stessa direttiva nel prevedere il divieto di monetizzazione delle ferie contengono l’eccezione del caso della “fine del rapporto di lavoro”. Si tratta di un caso in cui lo stesso datore di lavoro, anche quello particolarmente sensibile all’adempimento, può trovarsi nell’impossibilità (in caso di cessazione improvvisa del rapporto) o avere obiettive difficoltà a far fruire le ferie senza danno per l’organizzazione del lavoro e della produzione prima del periodo di ordinario godimento delle ferie. Si tratta di un caso in cui il lavoratore è certamente incolpevole dell’impossibilità di fruire effettivamente del riposo.
Con la previsione di questa specifica deroga al generale obbligo di far fruire le ferie ai lavoratori, si facilita un’interpretazione del diritto, ormai di livello sovranazionale, in base alla quale il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute è legittimo ed anzi doveroso, dopo la fine del rapporto di lavoro, in tutti i casi in cui il lavoratore, non per sua colpa, non ha potuto fruire di questo istituto.
Infatti, se da un lato non si può consentire ai datori di lavoro di non concedere l’effettivo diritto al riposo nel periodo di ferie risparmiandone il relativo costo per effetto di un malinteso divieto di monetizzazione, dall’altro lato non si può consentire ai lavoratori di rifiutarsi impunemente di fruire delle ferie (restando al lavoro nei periodi indicati dallo stesso datore di lavoro per la fruizione di questo importante istituto di legge e contrattuale) al fine di incrementare la propria retribuzione annua per effetto dell’erogazione dell’indennità sostitutiva delle stesse ferie. In questa seconda ipotesi, resta fermo, infatti, che in caso di colpa del lavoratore, quest’ultimo è opportuno che non possa vantare il diritto alla monetizzazione delle ferie.
E’ utile, inoltre, precisare che nel nostro ordinamento giuridico è vigente il principio della supremazia del diritto comunitario. Infatti, al primo comma dell’art. 117 della Costituzione, dopo la riforma del suo titolo V ad opera della legge costituzionale n. 3/2001, è previsto che:
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”
In virtù del principio di supremazia del diritto comunitario[1], la norma interna, anche quella speciale, come quella contenuta al comma 8 dell’art. 5 del D.L. 95/2012, convertito nella legge n. 135/2012, deve essere interpretata conformemente al diritto dell’Unione Europea, se possibile, oppure, se ciò non sarà possibile a causa della sua formulazione, dovrà essere dichiarata costituzionalmente illegittima[2].
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza del 20 gennaio 2009, C. 350/2006, ha stabilito che nel caso in cui il lavoratore non abbia potuto fruire in tutto o in parte delle ferie alla cessazione del rapporto di lavoro a causa di malattia, l’art. 7, comma 2 della Direttiva esige che gli si riconosca il diritto a un’indennità finanziaria. La stessa Corte, nella sentenza del 3 maggio 2012, C-337/2010, ha ribadito lo stesso principio. Quindi, la C.G.U.E. ha affermato che l’indennità sostitutiva è dovuta in forza della Direttiva, nel caso in cui la mancata fruizione delle ferie non si è verificata per causa imputabile al lavoratore.
Nel 2012, al fine di ridurre gli abusi nella pratica della monetizzazione delle ferie nella Pubblica Amministrazione è stata approvata dal Parlamento la legge n. 135 di conversione del D.L. n. 95 dello stesso anno. Si tratta di una norma che apparentemente non ammette nessun caso di monetizzazione. Per tale apparente caratteristica, il Tribunale di Roma con l’Ordinanza n. 193 del 5 maggio 2015 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale delle norme contenute in tale legge in materia di divieto di monetizzazione delle ferie non godute.
Sulla questione, la Corte Costituzionale si è espressa con la sentenza n. 95/2016. In essa, a proposito della legittimità costituzionale della norma contenuta all’art. 5, comma 8, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nel testo che risulta dopo la conversione nella L. 135/2012, si legge che: “La prassi amministrativa e la magistratura contabile convergono nell’escludere dall’ambito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.
Questa interpretazione si colloca, peraltro, nel solco tracciato dalle pronunce della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, che riconoscono al lavoratore il diritto di beneficiare di un’indennità per le ferie non godute per causa a lui non imputabile, anche quando difetti una previsione negoziale esplicita che consacri tale diritto, ovvero quando la normativa settoriale formuli il divieto di “monetizzare” le ferie (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 ottobre 2000, n. 13860; Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 8 ottobre 2010, n. 7360).
5.- Così correttamente interpretata, la disciplina impugnata non pregiudica il diritto alle ferie , come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma terzo), dalle fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle Europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).”
Quindi, con un’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme al diritto comunitario, per la Corte Costituzionale, il D.L. 95-2012, convertito nella legge n. 135/2012, all’art. 5, comma 8, contiene una norma applicabile anche nei vari casi in cui il singolo lavoratore senza sua colpa non ha potuto fruire delle ferie. In questi casi, il datore di lavoro dovrà corrispondere l’indennità sostitutiva delle stesse.
Coerentemente, la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, nella sentenza del 12-02-2020, n. 3476, in una caso riguardante il Comune di Jesi e propri ex dipendenti, tra i motivi per i quali ha respinto il ricorso di detto Comune, al punto n. 3., ha affermato che: “Il mancato esercizio da parte del datore di lavoro pubblico del potere unilaterale di disporre la fruizione delle ferie nell’anno di maturazione (o nel primo semestre dell’anno successivo) determinava l’obiettivo inadempimento contrattuale e il diritto dei dipendenti a vedersi risarcito il danno da mancata collocazione tempestiva in ferie.”
Anche questo è un caso di incolpevole mancata fruizione delle ferie da parte di lavoratori dipendenti della P.A.
Pochi mesi dopo, la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza del 02/07/2020, n. 13613, in un altro caso riguardante il diritto alla monetizzazione delle ferie non godute da un dirigente medico con incarico di direttore di struttura complessa, ha affermato il seguente principio di diritto: “Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio fondamentale del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88. Non è compatibile con l’art. 7 della predetta direttiva, una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti.”
E come già sopra accennato, tutti i Contratti Collettivi di lavoro, coerentemente con le norme di legge, anche di derivazione comunitaria, prevedono l’obbligo del datore di lavoro di programmare l’epoca delle ferie (in taluni CCNL è specificato che il datore di lavoro deve tener conto delle preferenze dei lavoratori, per quanto possibile).
In tal senso, nella sopra citata sentenza della Suprema Corte, al punto n. 16., si afferma che: “Proprio per il potere di organizzazione che fa capo al datore di lavoro, e non risultando che i lavoratori, nella specie, potessero ex sè porsi in ferie, la mancata indicazione da parte degli stessi dei periodi di ferie (e non il rifiuto di fruire delle ferie come eventualmente formalmente disposte dall’Amministrazione, di cui non vi è menzione) a cui fa riferimento l’appellante, non esclude la responsabilità dello stesso, nei sensi sopra indicati.”
E’ opportuno considerare che spesso, tra datore di lavoro e lavoratore, pubblico o privato che sia, l’ordine di fruire delle ferie (o l’accettazione della richiesta di ferie avanzata dal lavoratore) avviene in forma orale in quanto non è richiesta dall’ordinamento la forma scritta a pena di nullità (come per molte altre scelte sulle modalità di applicazione di norme contrattuali e/o di legge relative al rapporto di lavoro).
In coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 95/2016, anche nel Pubblico Impiego non contrattualizzato, la stessa norma ex art.5, comma 8, L. 135/2012, è interpretata nel senso di ritenere legittimo il pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie nei casi di mancato godimento incolpevole del lavoratore. In tal senso si veda la sentenza del TAR Lazio Roma, Sez. I quater, del 23-01-2019, n. 868, nella quale si afferma: “Dai suesposti principi deriva che, anche per il settore pubblico non contrattualizzato, non è inibita in via assoluta la monetizzazione delle stesse ma tale possibilità sussiste unicamente in caso di “mancato godimento delle ferie, non imputabile all’interessato”.
Circa il significato da attribuire al concetto di non imputabilità all’interessato del mancato godimento delle ferie , si è pronunciato il Consiglio di Stato precisando che “In riferimento alle Forze di Polizia ad ordinamento civile il diritto alla monetizzazione del ‘congedo ordinario (non fruito) matura ogniqualvolta il dipendente non ne abbia potuto usufruire (id est: non abbia potuto disporre e godere delle sue ferie ) a cagione ed in ragione di obiettive esigenze di servizio o comunque per cause da lui non dipendenti o a lui non imputabili”(Cons. Stato Sez. III Sent., 21/03/2016, n. 1138; Cfr. C.S., VI^, 24.2.2009 n.1084; Id., 26.1.2009 n.339; Id., 23.7.2008 n.3636)”.
E’, tuttavia, corretto precisare che ancora nel 2020, malgrado il diverso orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza sopra indicata del 02/07/2020, n. 13613, addirittura per un dirigente di struttura complessa, alcuni Tribunali del merito esprimevano orientamenti giurisprudenziali molto restrittivi in ordine al riconoscimento del diritto all’indennità per ferie non godute da parte di pubblici dipendenti. E’, per esempio, il caso della Corte d’Appello di Bari che con la sentenza n. 1564/2020, depositata il 23.11.2020, ha rigettato la domanda con la quale una dirigente di primo livello della Asl aveva chiesto il pagamento della suddetta indennità sostitutiva per n. 38 giorni di ferie maturate e non godute a causa del diniego del Direttore della sua Unità Operativa, con la motivazione “per necessità di servizio”. Sentenza di rigetto della domanda in quanto la lavoratrice non aveva dimostrato che il mancato godimento delle ferie fosse dovuto ad esigenze di servizio, nè quali fossero state le specifiche motivazioni che avevano determinato l’accumulo delle giornate, “dovendosi anche considerare l’esiguità del tempo a disposizione dell’Azienda tra la richiesta e la fine del rapporto”. Il giudizio espresso dalla C.A. di Bari è stato poi cassato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 29113/2022 con cui è stato affermato il seguente principio di diritto: “La perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può dunque verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie e di averlo nel contempo avvisato che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.”.
Recentemente la Corte di Cassazione si è espressa sul diritto all’indennità sostitutiva per ferie non godute da un dirigente della P.A. avente il potere autonomo di attribuirsi le ferie. Nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. lavoro del 06/06/2022, n. 18140, viene affermato il seguente principio di diritto: “Il potere del dirigente pubblico di organizzare autonomamente il godimento delle proprie ferie, pur se accompagnato da obblighi previsti dalla contrattazione collettiva di comunicazione al datore di lavoro della pianificazione delle attività e dei riposi, non comporta la perdita del diritto, alla cessazione del rapporto, all’indennità sostitutiva delle ferie se il datore di lavoro non dimostra di avere, in esercizio dei propri doveri di vigilanza ed indirizzo sul punto, formalmente invitato il lavoratore a fruire delle ferie e di avere assicurato altresì che l’organizzazione del lavoro e le esigenze del servizio cui il dirigente era preposto non fossero tali da impedire il loro godimento. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso il diritto del dirigente di struttura complessa alla monetizzazione, pur a fronte di un accumulo esorbitante di ferie non godute ed un’accertata situazione di “endemica” insufficienza di organico, senza verificare la condotta del datore di lavoro ed i rapporti tra insufficienza di organico, non imputabile al lavoratore, e necessità di assicurare la prosecuzione del servizio). (Cassa con rinvio, Corte d’Appello Palermo, 06/04/2016)”.
La stessa Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, qualche mese dopo, con l’Ordinanza del 12/10/2022, n. 29844 (conforme ord. 29113/2022) in una caso ancor più specifico riguardante un dirigente non apicale che tuttavia aveva il potere di attribuirsi le ferie, ha precisato che “Nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, il dirigente che, pur munito del potere di autoorganizzarsi le ferie, non sia collocato all’apice dell’ente pubblico e sia, quindi, sottoposto a poteri autorizzatori o comunque gerarchici degli organi di vertice dello stesso, non perde il diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, ove il mancato godimento dipenda dall’inadempimento degli obblighi organizzativi del datore di lavoro, sul quale, pertanto, grava l’onere di provare di avere esercitato la sua capacità organizzativa in modo da assicurare che le ferie fossero effettivamente godute. (Cassa con rinvio, Corte d’Appello Roma, 02/08/2021)”
Prima di queste sentenze del 2022, la Corte di Cassazione, in casi riguardanti dirigenti pubblici aventi il potere di attribuirsi le ferie aveva espresso il seguente orientamento: “il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto all’indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive” (Cassazione, Sez. Lav., 10.10.2017, n. 23697, conforme a Cassazione , Sez. Lav., 14.3.2016, n. 4920).
Per i dipendenti della P.A. non aventi il potere autonomo di attribuirsi le ferie, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza del 18/10/2022, n. 30558, confermando il proprio precedente orientamento, ha affermato il seguente principio di diritto: “Il diritto al pagamento di un’ indennità per le ferie non godute per malattia o altra causa non imputabile al lavoratore all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, è da ritenere di natura inderogabile, configurando la perdita automatica di tale diritto, tout court, una lesione della sfera giuridica soggettiva del lavoratore medesimo, quale parte debole del rapporto di lavoro (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, nel confermare la legittimità del licenziamento irrogato per giusta causa al ricorrente, aveva escluso il diritto di quest’ultimo alla corresponsione dell’ indennità per ferie affermando che il datore di lavoro aveva recepito l’art. 5, comma 8, del decreto legge n. 95 del 2012).”
Tuttavia, è corretto precisare che sull’onere del pubblico dipendente di dimostrare la mancanza di sua colpa nel mancato godimento delle ferie, la Corte di Cassazione, circoscrivendo l’applicabilità della monetizzazione delle ferie, in passato aveva affermato che: “nel rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, il mero fatto del mancato godimento delle ferie non dà titolo ad un corrispondente ristoro economico se l’interessato non prova che esso è stato cagionato da eccezionali e motivate esigenze di servizio o da cause di forza maggiore” (Cass. civ., ordinanza n. 20091/2018 conforme a Cass. civ., sentenza n. 4855/2014).
Appare evidente l’evoluzione interpretativa della Corte di Cassazione nel superiore confronto tra gli orientamenti espressi negli anni 2014 – 2017 con quelli ora espressi dal 2018 in poi e soprattutto nel 2022.
Mentre sulla dimostrazione, per semplici presunzioni[3], della posizione incolpevole del
lavoratore, per effetto delle esigenze di servizio che non consentivano di autorizzare le assenze per ferie del dipendente, è utile esaminare la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, del 15-05-2012, n. 2798, nella quale si afferma che: “La norma in questione non richiede, al fine di poter dimostrare l’impedimento oggettivo derivato da esigenze di servizio al godimento delle ferie , e la conseguente monetizzazione al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come pretenderebbe l’Amministrazione e come ritenuto dal TAR, che il dirigente alleghi atti dell’organo di governo dell’Azienda da cui risultino le dette esigenze di servizio ostative o il rifiuto dell’Amministrazione di consentire al dipendente le ferie richieste.
La prova, pertanto, della sussistenza del necessario presupposto può conseguirsi con altro mezzo.
Ritiene il Collegio che sia logicamente attendibile che l’insufficienza di organico, imputabile alla ASL e da questa riconosciuta, non abbia consentito al ricorrente, nella qualità di Responsabile del Servizio ambulatoriale pediatrico, di predisporre un piano di avvicendamento feriale con l’unico collega in servizio, essendo solo due le unità di personale medico, incluso il ricorrente, presenti nella struttura sanitaria. Così pure l’entità delle prestazioni richieste dall’utenza, che imponeva il superamento dei limiti consentiti del normale servizio di reperibilità, regolarmente remunerato, e perciò riconosciuto utile e necessario dall’Azienda, rappresenta un indizio serio della difficoltà di organizzare un piano di ferie.
Deve ritenersi, pertanto, dimostrato, sulla base di tali dati di fatto, che costituiscono indizi precisi, univoci e concordanti, ex art. 2729 c.c., il presupposto per la maturazione del diritto all’indennità sostitutiva, costituito delle esigenze di servizio oggettivamente impeditive alla fruizione delle ferie.
Appare, pertanto, pretestuoso il diniego impugnato opposto al ricorrente dall’Azienda, fondato sulla presunta mancanza di prova circa l’oggettiva esistenza di esigenze di servizio ostative al godimento delle ferie.”
E’ opportuno precisare che ancor oggi qualche Giudice del merito è ancora orientato a non riconoscere al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie nei casi in cui, lo stesso lavoratore non ha fornito la prova piena dell’assenza di sua colpa, seppur per presunzioni semplici, si potrebbe dedurre che il mancato godimento è attribuibile ad obiettive esigenze di servizio ed in assenza di qualsiasi utile attività del datore di lavoro volta a dimostrare il tentativo di far godere le ferie al lavoratore o, quantomeno, utile ad informare il lavoratore dell’obbligo di godere delle ferie maturate. E’ il caso del Tribunale di Trapani, sentenza n. 204/2023[4] di condanna dell’Ente Locale resistente (sentenza pubblicata il 26/04/2023) che ad un pubblico dipendente, titolare di posizione organizzativa, ha accolto la richiesta di indennità sostitutiva delle ferie per complessivi n. 48 giorni (sui 56 richiesti) maturati nell’anno di cessazione del rapporto di lavoro e nei due anni in cui aveva avuto respinte, in modo formale e documentato, dalla propria amministrazione, le domande presentate (un anno “per esigenze di servizio” e l’anno successivo senza alcuna specificazione dei motivi, come risultava dai documenti allegati al ricorso) ma non ha riconosciuto il diritto a n. 8 giorni di ferie non godute nella prima annualità del rapporto di lavoro, pur essendo un dipendente part time (al 50% dell’orario di lavoro pieno) che sostituiva inizialmente un full time e successivamente anche un ulteriore lavoratore a tempo pieno, in un piccolo Ente locale della stessa provincia trapanese. Eppure risultavano, inoltre, dimostrati, agli atti di causa, sia la rilevante carenza di personale dell’ente Locale sia che lo stesso lavoratore ricorrente aveva svolto alcune centinaia di ore di lavoro non retribuite in aggiunta all’orario ordinario e di queste aveva potuto recuperarne solo una piccola parte mediante occasionale fruizione di riposi compensativi. Nessun indizio di segno discordante da quelli sopra indicati era emerso agli atti di causa. Quindi, presunzioni gravi, precise e concordanti, come definite dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11299 del 28.04.2023 (stralcio riportato nella nota n. 2) delle preminenti esigenze di servizio che avevano impedito il godimento del riposo feriale, appunto per motivi non imputabili al lavoratore, in un Ente locale che non lo aveva mai richiamato alla necessità di fruire delle ferie maturate ricercando le eventuali soluzioni per consentirgli di assentarsi dal lavoro, mediante l’adozione di provvedimenti organizzativi utili a scongiurare i probabili danni da mancato presidio delle attività poste in capo allo stesso dipendente.
Tuttavia, nella già citata sentenza del Tribunale di Trapani, il Giudice dà atto del recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con le Ordinanza n. 29844/2022 e n. 29113/2022 ma non riconosce il diritto a 8 giorni di ferie maturati nel primo anno di servizio perché non erano stati richiesti dal lavoratore, seppur nessuna attività era stata posta in essere dall’Ente Locale per indurre e consentire al lavoratore di fruire delle ferie maturate.
Può essere utile precisare, inoltre, che l’indennità sostitutiva delle ferie, sia in caso di previsione contrattuale dei criteri di calcolo ma anche nel silenzio della contrattazione collettiva applicabile al caso concreto, sia nel settore privato sia in quello pubblico, non può che essere di importo uguale a quella dovuta dal datore di lavoro in caso di effettivo godimento delle ferie. Diversamente, ove i criteri di calcolo utilizzati determinassero un’indennità sostitutiva delle ferie da corrispondere al lavoratore avente diritto, di valore inferiore alla retribuzione di fatto, saremmo in presenza di un vero e proprio incentivo al datore di lavoro inadempiente. Una norma pattizia di questo tipo sarebbe nulla in quanto in evidente contrasto con norme imperative di legge, come l’art. 36 Cost. e con le altre norme comunitarie e della legislazione nazionale, anche di derivazione comunitaria, che impongono al datore di lavoro di consentire la fruizione delle ferie retribuite maturate dai lavoratori.
Sulla natura mista, risarcitoria e retributiva, dell’indennità sostitutiva delle ferie non vi è più alcun dubbio. Si tratta, quindi, di un diritto che ha termine di prescrizione ordinario (decennale) il cui valore economico deve essere incluso nella base di calcolo del TFR e della contribuzione previdenziale. In questo senso si espressa la Corte di Cassazione, in ultimo, con la sentenza n. 3021/2012, nella quale si legge che: “Per quanto in passato oggetto di orientamenti giurisprudenziali non univoci, la questione giuridica sottostante è stata risolta dalla più recente giurisprudenza della sezione lavoro di questa Corte in base al criterio della natura mista dell’indennità in questione, sia risarcitoria che retributiva, a fronte della quale devesi ritenere prevalente, ai fini della verifica della prescrizione, il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo. A tale diritto invero deve essere assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, mentre – si è precisato – la natura retributiva, quale corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume rilievo allorchè ne debba essere valutata l’incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell’assoggettamento a contribuzione (v. Cass. n. 11462-12, Cass. n. 20836-13, Cass. n. 1757-16, Cass. n. 14559-17).”
In conclusione, in base alla giurisprudenza recente, seppur in forma estremamente sintetica, è corretto affermare che:
- il datore di lavoro ha l’obbligo di programmare le ferie, conformemente alle previsioni di legge e contrattuali ed in caso di incolpevole mancato godimento da parte del lavoratore, quest’ultimo mantiene il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute, alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò vale sia per il settore privato sia per quello pubblico;
- per i pubblici dipendenti dirigenti o ad essi equiparati ed aventi il potere di auto organizzarsi le ferie ma non collocati in posizione apicale e, quindi, soggetti ai superiori poteri autorizzatori, la P.A. deve organizzarsi in modo da assicurare le condizioni affinchè le ferie possano essere effettivamente godute, diversamente, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, dovrà riconoscere al lavoratore l’indennità sostitutiva per ferie non godute;
- i pubblici dipendenti aventi la qualifica di dirigenti ed aventi l’autonomo potere di determinare il/i periodo/i di godimento delle ferie maturate, ove il mancato godimento delle ferie sia dipeso da cause di servizio, alla cessazione del rapporto, conservano il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie se l’Amministrazione non prova che il dipendente poteva effettivamente fruire delle ferie e che ha avvisato il lavoratore della necessità che queste venissero programmate e del rischio di perderne il diritto in caso di mancata fruizione entro il periodo previsto dalla legge e/o dal CCNL, successivamente alla loro maturazione.
07/05/2023
Avv. Giorgio Tessitore
Esperto in diritto del lavoro e previdenziale
Convenzionato con il patronato Inas Cisl
[1] Il principio della supremazia del diritto comunitario su quello interno, ancor prima delle modifiche al testo dell’art. 117 della Costituzione, era già stato affermato dalla giurisprudenza con le sentenze sui casi italiani, “Costa/Enel” del 1964, “Simmenthal/Amministrazione delle Finanze” del 1978 e “Granital/Amministrazione delle Finanze” del 1984.
[2] Il Giudice del merito, in questi casi, sospende il procedimento nel quale dovrebbe essere applicata la norma contrastante con il diritto dell’U.E. e con propria ordinanza rinvia il caso alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità.
[3] Sui caratteri delle presunzioni semplici che devono essere “gravi, precise e concordanti”, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione (Ordinanza n. 11299 del 28.04.2023). Si riporta la parte che, a tal fine, interessa: “Con riguardo… alle caratteristiche della prova presuntiva … è utile ricordare che essa si configura come mezzo per la cognizione mediata ed indiretta di fatti controversi, costituendo, pertanto, un mezzo di prova critica in relazione al quale è rimessa al prudente apprezzamento del giudice la formulazione dell’inferenza dal fatto noto a quello ignoto. Più specificamente, affinchè si possa conseguire la prova del fatto ignoto, l’art. 2729 c.c. richiede che gli elementi presuntivi siano gravi, precisi e concordanti, venendo meno, in caso contrario, la garanzia di ragionevole certezza circa la verità del fatto stesso. Tali requisiti rappresentano i presupposti per il valido impiego del ragionamento inferenziale, dovendosi escludere che, in loro assenza, le presunzioni stesse possano fornire al giudice la piena prova del fatto ignoto. La loro definizione esatta, peraltro, non è agevole, nè univoca in dottrina. E’ sufficiente rimarcare, in questa sede (in sostanziale conformità a quanto recentemente sancito da Cass. n. 4784 del 2023 e Cass. n. 9054 del 2022), che: i) il requisito della gravità implica la necessità di un elevato grado di attendibilità della presunzione in relazione al convincimento che essa è in grado di produrre in capo al giudice; ciò non significa comunque che l’affermazione dell’esistenza del fatto ignorato debba desumersi dal fatto noto con assoluta certezza, essendo sufficiente un grado di probabilità superiore a quello che spetta all’opposta tesi della sua inesistenza. Tanto, del resto, è coerente con la struttura del ragionamento presuntivo e con la natura delle massime d’esperienza su cui esso si fonda: salvo i casi eccezionali in cui esse corrispondano a leggi naturali o scientifiche, le massime di esperienza non sono, infatti, di regola idonee a conferire certezza assoluta alla conoscenza del fatto ignorato, esprimendo, per lo più, una connessione meramente probabile fra questo ed il fatto noto; ii) il requisito della precisione evoca, a sua volta, un concetto di non equivocità, valendo ad escludere la validità del ragionamento presuntivo ove da esso derivino conclusioni contraddittorie e non univocamente riferibili al fatto da provare. In altri termini, la precisione va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell’inferenza e postula che esso non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica. In linea con quanto detto circa il requisito della gravità, la conseguenza circa l’esistenza del factum probandum non deve necessariamente configurarsi come l’unica possibile, essendo sufficiente che essa sia la più probabile tra quelle che possono derivare dal fatto noto; iii) più complessa e problematica è, infine, la definizione del concetto di concordanza: col richiedere la sussistenza di tale requisito, infatti, la norma sembra riferirsi alla necessaria convergenza sulla medesima conclusione di una pluralità di presunzioni semplici. Tuttavia, in dottrina e soprattutto nella giurisprudenza, è invece prevalsa una interpretazione “debole” della norma che conduce ad ammettere la validità dell’inferenza deduttiva anche quando essa si fondi su una sola presunzione, purchè essa si configuri come grave e precisa (cfr., ex aliis, Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 9054 del 2022; Cass. n. 2482 del 2019; Cass. n. 19088 del 2007; Cass. n. 16993 del 2007; Cass. n. 4472 del 2003).
[4] Il testo della sentenza si trova al seguente indirizzo: http://avvocatotessitore.it/PDF/Tribunale%20di%20Trapani,%20sent.%20n.%20204-2023%20del%2026.04.2023.pdf