Il Tribunale di Roma, con proprio decreto del 23 marzo 2022, ha ritenuto discriminatorio il comportamento della società ITA che in attuazione del piano di assunzioni concordato con i sindacati ha escluso le assistenti di lavoro che lavoravano in Alitalia perché in stato di gravidanza. In applicazione delle specifiche norme di legge in materia, il Giudice ha utilizzato i dati statistici forniti dalle parti in causa per decidere nel merito, rilevando ed evidenziando che nessuna donna incinta è stata assunta dalla società.
Il Tribunale di Roma, nel procedimento in discorso, ha applicato le norme del decreto legislativo n. 198 del 11 aprile 2006, denominato “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246” condannando la società del trasporto aereo ITA S.p.A. a risarcire i danni subiti da due assistenti di volo non assunte, con 15 mensilità a ristoro dei danni subiti, importo che ricomprende anche il risarcimento per la perdita di chance. Il Giudice del lavoro di Roma, a sostegno dell’iter logico della sua decisione, ha indicato la coerenza con i precedenti della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte di Cassazione in materia di discriminazione uomo-donna nelle fasi selettive precedenti l’assunzione
Di seguito alcune parti significative del decreto del Tribunale di Roma, conclusivo del procedimento avente n. di R.G. 35684/2021:
“…il piano assunziona1e ha già superato la metà della dimensione prevista nell’accordo e per questa ragione non può certo dirsi in una fase iniziale, e comunque il suo auspicato sviluppo resta condizionato ad una serie di fattori esterni alla sfera di azione della società che con la conclusione dell’accordo non ha assunto alcuna obbligazione ad effettuare le successive assunzioni.”
(…)
“Il tema dell’odierna azione è altro: se, in fase di selezione, la società abbia o meno discriminato le ricorrenti, e come loro altre candidate all’assunzione, solo perché in gravidanza; sempre per questa ragione, neppure assume rilievo decisivo il fatto che la società abbia assunto un numero di lavoratrici già madri che fruiscono per questa ragione dei congedi parentali, in quanto la questione che qui interessa è specificamente riferita al processo di selezione che precede l’assunzione, non alle successive scelte gestionali che riguardano le lavoratrici assunte. Esclusivamente riguarda quella porzione di lavoratrici che, come le ricorrenti, hanno presentato la loro candidatura come assistenti di volo per cui al momento la società ha fatto 755 assunzioni, 412 donne e 343 uomini. Poiché la società ha richiamato la libertà di non tener conto di altri criteri selettivi che non siano quelli condivisi con le OO.SS. nel Verbale di accordo, è anche opportuno richiamare i principi di diritto su cui l’azione odierna si fonda e che la società è tenuta a rispettare: la questione specificamente riguarda l’operatività della tutela antidiscriminatoria nella fase di selezione del personale, antecedente la costituzione del rapporto di lavoro, e l’asserita violazione di questi criteri, certamente vincolanti anche per la società resistente E’ questo l’unico tema della controversia. Il tenore letterale del dato normativo è su questo punto inequivoco: ai sensi de11’art. 27, co. 1 del D.Lgs. n. 198/2006 “È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale.”. Lo stesso art. 27 cit., al successivo comma 2, letto a), dispone che: “La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata: a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive;”
Un’occasione di approfondimento a questo riguardo è stata fornita anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha più volte chiarito che l’ambito di applicazione dei divieti di discriminazione investe anche la fase preassuntiva, tenuto conto della rilevanza che l’accesso al lavoro riveste nella vita personale, che lo rende in linea di principio analogo, sotto un profilo assiologico, a quello della perdita del lavoro conseguente al licenziamento (cfr. CGUE 14.3.2017 Bagnaoui C-188/15). Esplicativa sul punto, la sentenza CGUE dell’8 novembre 1990, causa C-I77/88, Dekker, secondo cui:
“A questo proposito si deve osservare che un rifiuto d’assunzione per motivo di gravidanza può opporsi solo alle donne e rappresenta quindi una discriminazione diretta a motivo del sesso. Orbene, un rifiuto di -assunzione dovuto alle conseguenze finanziarie di un’assenza per causa di gravidanza deve esser considerato fondato essenzialmente sull’elemento della gravidanza. Siffatta discriminazione non può giustificarsi con il danno finanziario subito dal datore di lavoro, in caso di assunzione di una donna incinta, durante tutto il periodo d’assenza per maternità ” (cfr. p. 12).
Nello stesso senso la sentenza della Corte del 3 febbraio 2000 nella causa Si1ke Karin Mablburg contro Land Meck1enburg-Vorpommem, secondo cui: “Da tale giurisprudenza risulta che l’applicazione delle disposizioni relative alla tutela delle donne incinte non può comportare un trattamento sfavorevole per quanto riguarda l’accesso al lavoro di una donna incinta, dimodoché impedisce ad un datore di lavoro di rifiutare l’assunzione di una candidata incinta per il fatto che un divieto di lavoro dovuto a tale stato di gravidanza gli impedirebbe di assegnarla, fin dall’inizio e per il periodo di gravidanza, al posto a tempo indeterminato da coprire. All’udienza sono state formulate osservazioni riguardo alle conseguenze finanziarie che potrebbero derivare dall’obbligo di assumere donne incinte, in particolare per piccole e medie imprese. A tale proposito occorre ricordare come la Corte abbia già affermato che il rifiuto di assunzione a causa dello stato di gravidanza non può trovare giustificazione in motivi relativi al danno finanziario a carico del datore di lavoro in caso di assunzione di una donna incinta, durante tu tto il periodo di assenza per maternità (sentenza Dekker, citata, punto 12).
La stessa conclusione si impone rispetto al danno finanziario causato dal fatto che la donna assunta non possa occupare, durante il periodo della sua gravidanza, il posto in questione. Occorre quindi risolvere la questione nel senso che l’art. 2, nn. 1 e 3, della direttiva asta al rifiuto di assumere una donna incinta per un posto a tempo indeterminato a causa di un divieto di lavoro previsto dalla legge in connessione a tale stato che ne impedisca, fin dall’inizio e per la durata della gravidanza, l’impiego in detto posto.” (cfr. pp. 27-30).
I principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo appena richiamata risultano per altro pienamente sintonici con l’orientamento della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, riaffermati da ultimo dalla sentenza 26 febbraio 2021, n. 5476. Sul punto, la Suprema Corte nella pronunzia sopra richiamata ha evidenziato (in motivazione) che:
“Nelle decisioni CGUE, C-177/88, Dekker del 14 novembre 1989 e CGUE, C~179/88, Hoejesteret dell’8 novembre 1990; la Corte di Giustizia ha stabilito che, poiché soltanto le donne possono rimanere incinte, il rifiuto di assumere o il licenziamento di una donna incinta per il suo stato di gravidanza o maternità costituiscono una discriminazione diretta fondata sul sesso che non può essere giustificata da alcun interesse, compreso quello economico del datore di lavoro”.
Partendo da tali precedenti sovranazionali la Corte ha concluso che:
“il mancato rinnovo di un contratto a termine ad una lavoratrice che si trovava in stato di gravidanza ben può integrare una discriminazione basata sul sesso, atteso che a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori e delle esigenze di rinnovo da parte della p.a. anche con riguardo alla prestazione del contratto in scadenza della suddetta lavoratrice. Esigenze manifestate attraverso il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi, ben può essere significativo del fatto che le sia stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza”.
La latitudine quindi della tutela antidiscriminatoria comprende la fase di accesso al lavoro, come nel caso della mancata assunzione o ammissione alle procedure selettive per l’assunzione di determinate persone, non diversamente dalla successiva fase di svolgimento del rapporto di lavoro.”
(…)
Tenuto conto degli elementi sin qui esaminati, ad avviso di questo giudice le ricorrenti, con le allegazioni formulate rispetto alla propria condizione e con l’indicazione di altre sette lavoratrici che ritengono in condizione analoga alla propria (per tre delle quali questa allegazione risulta esattamente confermata), hanno assolto l’onere probatorio da cui sono gravate, secondo i criteri di distribuzione dell’onere in queste controversie che è opportuno sinteticamente richiamare
Al riguardo, l’art.28, co. 4 del D.lgs. n.150/2011 in tema di onere probatorio stabilisce che: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statisticopossono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata”. L’art. 40 del D.lgs. n. 198/2006 prevede, in maniera analoga, un regime di distribuzione dell’onere probatorio “attenuato” a favore della parte che denuncia la discriminazione, stabilendo che “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”.
Del medesimo tenore anche la normativa comunitaria, in quanto ai sensi dell’art. 19 della Direttiva 2006/54/CE del 5 luglio 2006 “Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta”.
(…)
“Merita invece accoglimento l’azione risarcitoria dal momento che dalla condotta illegittima della società. convenuta è derivato un danno alle ricorrenti la cui domanda non è stata in sostanza neppure presa in considerazione; questa condotta ha determinato alle stesse una perdita di chance che si può quantificare nell’importo della retribuzione mensile per il periodo di 15 mensilità, tenuto conto del periodo di astensione dal lavoro antecedente il parto ed i sette mesi successivi dalla nascita del figlio (quindi 15 mensilità ciascuna per € 1.480,46, pari quindi ad € 22.206,90). In questo modo la condanna al pagamento della somma a titolo risarcitorio vale a ristorare
le ricorrenti. Dal danno subito per la perdita di chance ma esprime anche una valenza dissuasiva perché elide il vantaggio che la società resistente ha inteso assicurarsi evitando l’assunzione di assistenti di volo in gravidanza, per le quali la presenza sul luogo di lavoro sarebbe stata sospesa per la durata del tempo a cui la condanna viene commisurata. In questi termini merita quindi accoglimento il ricorso.”
Partanna, lì 31/03/2022
Avv. Giorgio Tessitore
esperto in diritto del lavoro e previdenziale
convenzionato con il Patronato Inas Cisl