Indice: Premessa. 1. La contribuzione dei lavoratori a tempo parziale nel settore privato e nel P.I. 2. La normativa europea sul lavoro a tempo parziale e l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’U.E. 3. Le resistenze dello Stato italiano ed i pronunciamenti della Corte di Cassazione e dei Tribunali del lavoro. 4. L’adeguamento normativo parziale dell’Italia e gli effetti negativi per una parte dei lavoratori con rapporto a tempo parziale. 5. Le procedure amministrative previste dalle circolari Inps n. 74/2021 e n. 4/2022. 6. L’istituzione del fondo per i lavoratori a tempo parziale ex comma 971, art. 1, L. n. 234/2021. 7. L’art. 2 bis della L. 15 luglio 2022 n. 91 con le modalità di attuazione del fondo ex comma 971, art. 1, L. 234/2021 con indennità una tantum di € 550,00.
Premessa.
Con l’introduzione nell’ordinamento nazionale dell’art. 1, comma 350, L. n. 178/2020 (legge di bilancio per il 2021) è stata recepita, seppur con limitazioni, la Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 relativa all’attuazione dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso dall’UNICE[1], dal CEEP[2] e dalla CES,[3] ad essa allegato. Dal 1° gennaio 2021[4], come meglio si dirà più avanti, ai lavoratori a part time verticale ciclico viene riconosciuto ed accreditato l’intero anno di contribuzione previdenziale, salvo le riduzioni economiche, nei casi di contribuzione versata in misura minore di quella risultante per l’intero anno, in applicazione delle norme sul “minimale contributivo” di cui all’articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, dalla L. n. 638/1983, cui fa esplicito riferimento il suddetto comma 350.
In Italia, il rapporto di lavoro a tempo parziale è regolato dalle norme contenute agli artt. da 4 a 12 del decreto legislativo n. 81/2015.
La regolamentazione dei rapporti a tempo parziale inizialmente[5] è stata, soprattutto, la risposta positiva alla necessità delle imprese di fruire anche di questo tipo di discontinuità/flessibilità del rapporto di lavoro, quando il mercato di riferimento presentava prevedibili oscillazioni periodiche (per esempio, nei settori del turismo e ad esso collegati, imprese operanti nella trasformazione/conservazione di prodotti agricoli, ecc.). Nel corso degli anni, il rapporto di lavoro ad orario ridotto ha assunto un’ulteriore importante funzione sociale nei molti casi in cui un ridotto regime d’orario poteva favorire la conciliazione dei tempi di vita con il lavoro. Per questo scopo il legislatore, tra l’altro, con l’art. 8 del d.lgs. 81/2015, ha introdotto le casistiche al verificarsi delle quali il lavoratore ha diritto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a part time (lavoratrici con figlio fino a 13 anni o portatore di handicap, lavoratori con particolari patologie, ecc.) ed i casi di precedenza nel ritorno al tempo pieno, in caso di nuove assunzioni.
Al fine della determinazione della misura dei contributi previdenziali che possono essere riconosciuti ai lavoratori a tempo parziale, l’art. 11 del citato d.lgs. 81/2015 prevede il raffronto della prestazione effettiva con il “minimale contributivo” e, nei casi di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale, il riconoscimento proporzionale dei contributi settimanali.
In base all’art. 12 del d.lgs. 81/2015, ai pubblici dipendenti, sono applicabili le già citate norme del d.lgs. 81/2015 ma “con esclusione di quelle contenute negli articoli 6, commi 2 e 6, e 10, e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia.”
- La contribuzione dei lavoratori a tempo parziale nel settore privato e nel P.I.
Per i lavoratori dei settori privati assunti a tempo indeterminato ma ad orario ridotto, fino all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 350, L. n. 178/2020 (legge di bilancio per il 2021), per la maturazione dell’anzianità contributiva utile ai fini previdenziali (pensione, Naspi, ecc.), in applicazione delle norme contenute all’art. 11, d.lgs. 81/2015, l’Inps accreditava soltanto le settimane contributive corrispondenti all’applicazione del “minimale contributivo” in raffronto con la contribuzione versata e, nei casi di trasformazione da tempo pieno a part time, soltanto le settimane effettivamente retribuite.
Diversamente, per i lavoratori del pubblico impiego, come previsto all’art. 12 del d.lgs. 81/2015, in applicazione della norma speciale contenuta al comma 2, art. 8, L. n. 554/1988[6], ai fini dell’anzianità contributiva, veniva accreditato l’intero anno.
Si è trattato, per decenni, di una pesante differenziazione tra dipendenti pubblici (oltre ai lavoratori delle FS e di Poste Italiane) e dipendenti privati che potrebbe essere superata se si ritenesse implicitamente abrogata la norma speciale del 1988 per effetto dell’altrettanto speciale norma contenuta al comma 350 dell’art. 1 della legge n. 178/2020.
2. La normativa europea sul lavoro a tempo parziale e l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’U.E.
Nel 1997, in ambito europeo sono state stabilite nuove norme per superare, seppur con resistenze, la situazione sopra descritta. Infatti, con la Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997, è stata introdotta una norma antidiscriminatoria[7], opportunamente richiamata nei “considerando” della direttiva, e valorizzata, insieme ad altre indicazioni dalla Corte di Giustizia dell’U.E., per affermare il diritto di tutti i lavoratori a tempo parziale al riconoscimento dell’intero anno contributivo ai fini del raggiungimento dei requisiti di contribuzione per l’accesso alla pensione.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. II, con sentenza del 10 giugno 2010, nei procedimenti riuniti C-395/08 e C-396/08, si è espressa con la pronuncia pregiudiziale richiesta dalla Corte d’appello di Roma per le cause promosse dall’Inps contro due lavoratori “facenti parte del personale di volo di cabina della compagnia aerea Alitalia”.,
Secondo la Corte europea:
1) La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive.
2) Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio giunga a concludere che la normativa nazionale di cui trattasi nelle cause principali è incompatibile con la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva 97/81, le clausole 1 e 5, n. 1, di quest’ultimo dovrebbero essere interpretate nel senso che ostano anch’esse ad una siffatta normativa.”
La CGUE, al punto 47 della citata sentenza:“…le considerazioni di politica sociale, di organizzazione dello Stato, di etica, o anche le preoccupazioni di bilancio che hanno avuto o possono aver avuto un ruolo nella determinazione di un regime da parte del legislatore nazionale non possono considerarsi prevalenti se la pensione interessa soltanto una categoria particolare di lavoratori…”, ha chiarito che la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo pieno e ad a tempo parziale ciclico verticale, nella legislazione italiana, non è giustificata “da ragioni obiettive”.
Può essere utile ricordare che le norme europee sono da considerarsi prevalenti sulle norme interne di qualsiasi Stato membro. A tale conclusione, in Italia, si era giunti già nel 1984 con la sentenza Granital contro Amministrazione delle finanze[8], dopo un “confronto” a distanza tra la Corte di Giustizia U.E. e la Corte di Cassazione, durato circa 20 anni (dalle sentenze Costa contro Enel del 1964[9] passando per la sentenza Simmenthal contro Amministrazione delle finanze del 1978[10]). E’, peraltro, da segnalare che dopo la legge costituzionale n. 3/2001, la supremazia del diritto comunitario sul diritto interno è sancita al primo comma dell’art. 117 della Costituzione Italiana. Tuttavia, le direttive dell’U.E. sono rivolte agli Stati membri che hanno l’obbligo di recepirle con atti normativi interni entro il termine stabilito nelle stesse direttive le quali non sono direttamente applicabili alle persone fisiche e/o giuridiche (salvo quelle c.d. self – executing). Nei confronti del mancato riconoscimento del diritto soggettivo previsto da una direttiva dell’U.E. il cittadino può difendersi con un’azione giudiziaria nei confronti dello Stato inadempiente, per il risarcimento del danno.
3. Le resistenze dello Stato italiano ed i pronunciamenti della Corte di Cassazione e dei Tribunali del lavoro.
Malgrado questo netto pronunciamento con cui, si è affermata l’incompatibilità delle norme interne che impedivano l’accredito dell’intero anno di contributi previdenziali ai lavoratori a tempo parziale, per molti anni nessuna modifica è stata apportata nell’ordinamento italiano e l’Inps ha continuato a riconoscere ai lavoratori con rapporto a tempo parziale soltanto la quota di contribuzione accreditabile con il raffronto della contribuzione versata al c.d. “minimale contributivo” o, nei casi di passaggio da full time a part time, le sole settimane di effettivo lavoro, in applicazione dell’art. 11, d.lgs. 81/2015.
Al riguardo la Corte di Cassazione, conformemente al pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ha affermato il seguente principio di diritto:
“Nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico non possono essere esclusi, dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro, in tal senso dovendosi intendere, in conformità alla normativa eurounitaria (come interpretata dalla CGUE, 10 giugno 2010 cause riunite C 395/08 e C-396/08), l’art. 7, comma 1, della l. n. 638 del 1983 “ratione temporis” applicabile”. (Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 02/12/2015, n. 24532 – rv. 637888).
Tuttavia, malgrado questo chiaro indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, l’Inps ha continuato a non riconoscere il pieno diritto alla contribuzione previdenziale ai lavoratori con rapporto a tempo parziale. Dopo altri pronunciamenti del 2016 e 2017[11], si è giunti nel 2018[12] ad ulteriori sentenze, in casi simili, sempre con la piena soccombenza dell’Inps. Purtuttavia, l’istituto previdenziale, prima della nuova norma di legge contenuta all’art. 1, comma 350, L. n. 178/2020, ha continuato a resistere in giudizio[13] e ad applicare il diritto interno (d.lgs. 81/2015, art. 11), in assenza del recepimento della Direttiva dell’Unione Europea 97/81/CE del 15 dicembre 1997, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’U.E.
In una delle ultime cause (iniziata prima dell’entrata in vigore del comma 350 dell’art. 1 della L. 178/2020) il Tribunale di Torino con la sentenza n. 1473 del 12/10/2021, ha affermato, ancora una volta, che: “In tema di anzianità contributiva dei lavoratori a tempo parziale, l’art 7, comma 1, del D.L. n. 463 del 1983, in conformità al principio di non discriminazione di cui al diritto comunitario, come applicato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 10 giugno 2010 C-395/08 e C-396/08, va interpretato nel senso che, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione, i lavoratori con orario part-time verticale ciclico hanno diritto all’inclusione anche dei periodi non lavorati.”
4. L’adeguamento normativo parziale dell’Italia e gli effetti negativi per una parte dei lavoratori con rapporto a tempo parziale.
La Direttiva 97/81/CE del Consiglio doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 20 gennaio 2000[14] (in casi particolari poteva essere recepita entro il 20 gennaio 2001)[15]. Lo Stato italiano, quindi, è intervenuto con notevole ritardo, con il rischio di trovarsi ad affrontare richieste di risarcimento da coloro che sono stati privati del loro diritto all’accredito contributivo dei periodi non lavorati e non riconosciuti dall’Inps[16], sin dalla data di scadenza della Direttiva 97/81/CE del Consiglio, cioè dal 20 gennaio 2000.
In realtà la norma varata con la legge di bilancio per il 2021, cioè l’art. 1, comma 350, L. n. 178/2020, seppur a 20 anni dalla scadenza indicata dall’U.E., potrebbe ancora essere ritenuta non integralmente adeguata al contenuto della Direttiva 97/81/CE del Consiglio, come interpretata dalla magistratura europea e nazionale, in quanto specifica che possono essere accreditate tutte le 52 settimane dell’anno contributivo solo se la contribuzione versata durante il periodo dell’effettiva prestazione lavorativa non sia inferiore al minimale contributivo. Infatti, nel sopra citato comma 350 si legge che “…il numero delle settimane da assumere ai fini pensionistici si determina rapportando il totale della contribuzione annuale al minimale contributivo settimanale determinato ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638…”
Quindi, ai lavoratori con basse retribuzioni e/o con brevi periodi di effettiva prestazione potranno essere riconosciute tutte le 52 settimane ma solo quella parte dell’anno corrispondente alle settimane coperte con l’applicazione del minimale contributivo rapportato alla contribuzione versata.
Questa scelta normativa interna potrebbe essere ritenuta in contrasto con il principio di non discriminazione ex Direttiva 97/81/CE del Consiglio nonché con la volontà di favorire, in ambito europeo, l’utilizzazione dei rapporti di lavoro ad orario ridotto, in quanto pone una limitazione all’applicazione del diritto europeo che non appare “giustificata da ragioni obiettive[17]” (che nella normativa europea sono riferite ai casi di rapporto occasionale). Peraltro, l’accordo sottoscritto tra parti sociali europee allegato alla Direttiva 9781/CE del Consiglio, alla clausola 6., prevede che gli Stati membri possano adottare normative più favorevoli. Ciò è un’ulteriore conferma della volontà delle stesse parti sociali e del Consiglio che ne ha recepito l’accordo, nell’ambito della Direttiva, di non consentire agli Stati membri il mantenimento o l’introduzione di normative meno favorevoli ai lavoratori.
Circa gli effetti del riconoscimento dell’intero anno contributivo per i lavoratori a tempo parziale, può essere utile ricordare che nel sistema previdenziale italiano, specialmente dopo l’introduzione della c.d. riforma Fornero (DL 201/2011, convertito dalla Legge 22 dicembre 2011, n. 214) e poi del “doppio calcolo”[18], l’importo della futura pensione dei lavoratori dipenderà generalmente dall’entità della contribuzione versata durante l’intera vita lavorativa. Quindi, l’accredito dell’intero anno di contribuzione per i lavoratori in part time ciclico avrà soltanto l’effetto di incrementare le settimane di contribuzione utili ai fini della maturazione del diritto alla pensione ma non al calcolo dell’importo spettante. Cioè non impedirà l’accesso alla pensione con il requisito contributivo (pensione anticipata), per coloro che avranno maturato l’anzianità prevista[19] anziché consentirne, di fatto, l’accesso con il solo requisito anagrafico (pensione di vecchiaia, oggi prevista a 67 anni). L’accredito dell’intero anno di contributi non potrà comportare alcun effetto sull’importo della pensione in quanto, non si incrementerà il montante contributivo che viene posto alla base del suo calcolo.
Resta, quindi, ancora aperta, seppur in misura sensibilmente ridotta, la possibilità di nuovi contenziosi legali nei casi di lavoratori in part time verticale ciclico ai quali non verrà riconosciuto ed accreditato l’intero anno contributivo.
5. Le procedure amministrative previste dalle circolari Inps n. 74/2021 e n. 4/2022.
La circolare Inps n. 74 del 04/05/2021 nell’indicare alle sedi periferiche le modalità attuative dei diritti previsti all’art. 1, comma 350, L. 178/2020, prevede che anche i lavoratori che non hanno ancora cessato l’attività lavorativa in regime di part time devono presentare apposita domanda per il riconoscimento del diritto per i periodi precedenti l’entrata in vigore delle nuove norme, unitamente alla dichiarazione del datore di lavoro, indicando i periodi esatti di effettiva sospensione del rapporto di lavoro che all’Inps servono per non trovarsi ad accreditare periodi di sospensione dal lavoro per motivi che non danno diritto all’accredito contributivo (per es.: permessi o aspettativa non retribuita per motivi personali).
La presentazione di apposita domanda da parte del lavoratore interessato, corredata della copia del contratto part time, è prevista nella circolare Inps n. 74/2021, come esplicitamente richiesto anche dalla legge n. 178/2020[20], per coloro che hanno già cessato il rapporto di lavoro a tempo parziale.
Il contratto individuale potrebbe tuttavia non essere in possesso del lavoratore interessato all’accredito dei periodi non lavorati, sia perché non sempre ne ha avuto copia dal datore di lavoro sia perché, non avendone un obbligo di legge, potrebbe non averlo conservato (con il rischio di non vedersi riconoscere il diritto alla contribuzione). Ci si chiede se questo non sia un adempimento superabile, in quanto l’Inps ha accesso alle comunicazioni obbligatorie[21] che il datore di lavoro deve trasmettere al portale del Ministero del Lavoro al momento dell’assunzione del lavoratore così come della cessazione del rapporto di lavoro (compresi i casi di modifica della tipologia di rapporto). Inoltre, lo stesso istituto previdenziale, potrebbe richiedere direttamente alle imprese copia del contratto, in considerazione dell’obbligo delle imprese di conservare la documentazione relativa ai rapporti di lavoro. Nulla viene precisato, nelle circolari Inps circa le modalità di esercizio del diritto per i casi di rapporto ormai cessato con imprese non più attive, quando il lavoratore non dispone della copia del contratto individuale di lavoro, ad eccezione del punto 6. della circolare Inps n. 74/2021, in cui si prevede che: “…In ogni caso, se riferiti sia a contratti esauriti che a contratti in corso, ove gli atti presentati a corredo del ricorso e le risultanze d’archivio in relazione agli adempimenti già svolti dal datore di lavoro siano sufficienti al riconoscimento dell’implemento, la Struttura territoriale potrà provvedere senza la richiesta di ulteriore documentazione.”.
Da ultimo, l’Inps, con circolare n. 4/2022, avente ad oggetto: “Applicativo per la presentazione telematica delle domande di accredito, per il diritto a pensione, di periodi non lavorati nel part time verticale o ciclico ricompresi entro il 31 dicembre 2020 ai sensi dell’articolo 1, comma 350, della legge 30 dicembre 2020, n. 178”, ha precisato le modalità di invio delle domande di accredito della contribuzione per i periodi non lavorati per i periodi precedenti il 1 gennaio 2021 (data di entrata in vigore dell’art. 1, comma 350, L. 178/2020), a cura dei lavoratori interessati, anche per il tramite dei patronati.
La stessa circolare, in premessa, ribadisce che, per i periodi successivi al 1° gennaio 2021, “…corre l’obbligo di compilazione del flusso UniEmens anche per i periodi in cui non esiste prestazione lavorativa in ragione dell’articolazione dell’orario concordata nel rapporto di lavoro a tempo parziale”. Dalla contribuzione 2021 in poi informazioni verranno fornite all’Inps dai datori di lavoro tramite l’invio dei modelli UniEmens in cui dovranno essere indicati i periodi non lavorati in dipendenza del contratto di lavoro a tempo parziale (come precisato nella stessa circolare Inps, in caso di modelli già trasmessi, il datore di lavoro dovrà inviare all’Inps le correzioni).
6. L’istituzione del fondo per i lavoratori a tempo parziale (comma 971 dell’art. 1, L. 234/2021) ed i suoi limiti.
E’ innanzitutto da precisare che il fondo di 30 milioni, istituito con la previsione posta al comma 971 dell’art. 1 della L. 234/2021 (legge di bilancio per il 2022) a beneficio dei “lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo parziale ciclico verticale” per gli anni 2022 e 2023, non include i lavoratori in part time orizzontale. Le norme, attuative del suddetto comma 971, dell’art. 1, L. n. 23472021, sono contenute all’art. 2 bis della L. 15 luglio 2022 n. 91, di conversione con modifiche del D.L. n. 50/2022 (“Decreto aiuti”).
7. L’art. 2 bis della L. 15 luglio 2022 n. 91[22] (conversione con modifiche del D.L. n. 50/2022) con le modalità di attuazione del fondo per i lavoratori in part time verticale
Il 30 giugno u.s. è stato approvato in commissione alla Camera dei Deputati un emendamento al c.d. “Decreto Aiuti” cioè il D.L. 17 maggio 2022 n.50. L’emendamento in questione dà attuazione al fondo per i lavoratori in part-time verticale, introdotto dalla legge di bilancio per il 2022.
Con queste norme è stato istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per gli anni 2022 e 2023 per l’attuazione di un sostegno economico in favore dei lavoratori titolari di un contratto di lavoro a tempo parziale verticale, rinviandone le modalità applicative ad apposito provvedimento.
La nuova norma attuativa del predetto fondo è ora vigente ed è contenuta all’art. 2 bis del D.L. n. 50/2022, convertito nella L. 15 luglio 2022 n. 91. Con la L. n. 91/2022, viene fissato in 550,00 euro l’importo dell’indennità una tantum per il 2022 a beneficio dei lavoratori in tempo parziale verticale che hanno avuto nel 2021 periodi di sospensione compresi tra le 7 e le 20 settimane, non titolari di altri rapporti di lavoro ed altri trattamenti (Naspi, pensione). I lavoratori interessati dovranno fare domanda all’Inps.
L’Inps dovrà costantemente monitorare la spesa del fondo di 30 milioni e qualora “…emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti di concessione dell’indennità.”
Quindi, salvo il successivo rifinanziamento della norma, alcuni lavoratori potrebbero non ottenere il beneficio. Inoltre, il fondo è stato istituito per il 2022 e per il 2023 ma non c’è nessuna certezza che i 30 milioni saranno sufficienti a coprire i fabbisogni per entrambi gli anni.
Certamente le organizzazioni sindacali dei lavoratori dipendenti, in caso di insufficiente copertura economica solleciteranno il Governo ed il Parlamento per ottenerne il rifinanziamento. In questo caso, c’è da augurarsi che le due istituzioni nazionali trovino i fondi necessari ad evitare una ingiustificata disparità di trattamento tra chi ha presentato la domanda in tempo utile e chi è giunto quando il fondo era ormai esaurito.
Partanna, 17.07.2022
Avv. Giorgio Tessitore
esperto in diritto del lavoro e previdenziale
convenzionato con il patronato Inas Cisl
[1] Unione delle Confederazioni Europee dell’Industria e dei Datori di lavoro
[2] Centro Europeo delle Imprese a Partecipazione Statale
[3] Confederazione Europea dei Sindacati
[4] E’ la data di entrata in vigore del comma 350 dell’art. 1, L. n. 178/2020
[5] La prima regolamentazione organica del part time è rinvenibile nei 20 commi di cui si componeva l’art. 5 della legge n. 863/1984, conversione del D.L. 726/1984
[6] La legge 554/1988 è denominata: “Disposizioni in materia di pubblico impiego”. Il comma 2 dell’art. 8 è il seguente: “Ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione a carico dell’amministrazione interessata e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi utili per intero.”
[7] Testo della clausola 4 dell’accordo: Clausola 4: “Principio di non-discriminazione.
- Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.”
[8] Sentenza della Corte Costituzionale n. 170/1984
[9] Sentenza della Corte Costituzionale n. 14/1964 e Sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea nella Causa n. 6/1964.
[10] Causa n. 106/1977 della Corte di Giustizia della Comunità europea.
[11] Cass. 2016-8565, Cass. 2016-21207, Cass. 2016-21376., Cass. 2016-26662, Cass. 2017-4968 e Cass. 2017-16677
[12] Cass. 2018-10526. In Cass. 2018-4338, si vede, ancora una volta in contrapposizione l’Inps ed un dipendente del settore trasporto aereo (dipendente Alitalia) a tempo parziale ciclico. Anche in questo caso risulta confermato orientamento già espresso dalla Corte di Cassazione, in conformità al pronunciamento della Corte di Giustizia dell’U.E. del 2010.
[13] Tribunale Bologna, Sez. lavoro, Sent., 17/03/2020; Tribunale Torino, Sez. lavoro, Sentenza, 12/10/2021, n. 1473
[14] Le direttive dell’U.E. sono rivolte agli Stati membri ed, in assenza di idonei atti normativi interni, non sono direttamente applicabili alle persone, sia fisiche sia giuridiche, salvo i casi di direttive self executing. In questi casi, la giurisprudenza comunitaria ammette che possano produrre effetti diretti negli ordinamenti interni, almeno per le norme così dettagliate da prevedere obblighi precisi ed incondizionati a carico dello Stato, creando così veri e propri diritti soggettivi.
[15] “…al più tardi il 20 gennaio 2000 … Gli Stati membri possono fruire di un periodo supplementare non superiore ad un anno, ove sia necessario in considerazione di difficoltà particolari o dell’attuazione mediante contratto collettivo”. Comma 1, art. 2, Direttiva 97/81/CE del Consiglio
[16] L’Inps con la circ. n. 74/2021 ha esplicitato che considera prescritti i diritti maturati oltre 10 anni prima dell’entrata in vigore del comma 350 dell’art. 1, L. n. 178/2020.
[17] La clausola 2 dell’accordo delle parti sociali allegato alla Direttiva 97/81/CE del consiglio prevede che: “Gli Stati membri… possono, per ragioni obiettive, escludere totalmente o parzialmente dalle disposizioni del presente accordo i lavoratori a tempo parziale che lavorano su base occasionale…
[18] In base alla legge all’art. 1, comma 707 della L. 190/2014, l’Inps deve sempre fare un doppio calcolo per determinare l’importo della pensione: il primo calcolo deve essere fatto con le regole previgenti la c.d. riforma Fornero ed un secondo calcolo dovrà essere fatto con le nuove regole vigenti dopo quest’ultima riforma. L’importo che risulterà più basso tra i due risultati sarà quello posto in pagamento dall’Inps.
[19] Attualmente fissata in 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
[20] “…il riconoscimento dei periodi non interamente lavorati è subordinato alla presentazione di apposita domanda dell’interessato corredata da idonea documentazione”. Con l’espressione “idonea documentazione”, la circolare Inps n. 74/2021 intende la copia del contratto di lavoro.
[21] Le comunicazioni obbligatorie on line per l’assunzione dei lavoratori sono state istituite dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, commi da 1180 a 1185 (legge finanziaria per l’anno 2007) e poi regolate con il Decreto Interministeriale 30 ottobre 2007 pubblicato nella GU, Serie Generale, n.299 del 27/12/2007)
[22] Testo integrale dell’art. 2 bis, D.L. n. 50/2022, convertito nella L. 15 luglio 2022 n. 91
Indennità per i lavoratori a tempo parziale ciclico verticale.
- Per l’anno 2022, ai lavoratori dipendenti di aziende private titolari di un contratto di lavoro a tempo parziale ciclico verticale nell’anno 2021 che preveda periodi non interamente lavorati di almeno un mese in via continuativa e complessivamente non inferiori a sette settimane e non superiori a venti settimane e che, alla data della domanda, non siano titolari di altro rapporto di lavoro dipendente ovvero percettori della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI) o di un trattamento pensionistico, è attribuita un’indennità una tantum pari a 550 euro. L’indennità può essere riconosciuta solo una volta in corrispondenza del medesimo lavoratore.
- L’indennità di cui al presente articolo non concorre alla formazione del reddito ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. L’indennità e’ erogata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel limite di spesa complessivo di 30 milioni di euro per l’anno 2022. L’INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa e comunica i risultati di tale attività al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell’economia e delle finanze. Qualora dal predetto monitoraggio emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti di concessione dell’indennità.
- Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 30 milioni di euro per l’anno 2022, si provvede a valere sulle risorse del Fondo di cui all’articolo 1, comma 971, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.